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I COMMENTI DEI LETTORI |
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2 | Inserito Giovedi 21 Agosto 2008 alle 13:09 da Ros |
La montagna va rispettata! Che senso ha correrci sopra; Non banalizziamo l'accaduto dando colpa alle scarpe, anche un piede in fallo può dare luogo ad una tragedia!!! Ditemi come si fa' a partecipare ad una competizione che è un memorial di un soccoritore morto in passato, rischiando di andare a rompersi il collo? Ma se questa persona (di cui non ricordo il nome) Kima fosse vivo cosa direbbe? Ahooo ragazzi ma che fate? Mi chi ve lo ha detto di ricordarmi in questa maniera?Gli sponsor, i soldi, oppure il proprio ego irrispettoso dei monti? R. |
3 | Inserito Giovedi 28 Agosto 2008 alle 16:48 da bruno |
sono solo sciocchezze, perchè usate la macchina se sapete che potete fare un incidente a anche morire? la montagna è passione, è vita, è salute, e chi è capace corra in tutta tranquillità la morte della sig.ra Moreschi è stata solo una fatalità |
4 | Inserito Venerdi 29 Agosto 2008 alle 13:00 da Claudio |
Penso che ci siano parti di ragioni in ognuna delle affermazioni di Ros e di Bruno. Il fatto che la montagna sia (debba essere) passione è assionomico. Il fatto che la montagna vada rispettata, altrettanto. Un incidente dovuto a una fatalità (scivolata, distrazione, cattivo tempo, ecc) è sempre in agguato, perfino in luoghi impensabili (vedi ad esempio il racconto di Jacopo “Incidente in montagna” in “Libera l'immaginazione”). Forse il problema è la degenerazione delle attività ludiche svolte in montagna in seguito all'avvento di competizioni ufficiali sponsorizzate, sempre più nella cultura del “no-limits”. L'arrivo del denaro e di un mercato distorto, insomma. Che chi è capace di correre corra in tutta tranquillità è una bella cosa, ma se è libero di farlo per scelta di passione o di sfida ai propri limiti o persino per soddisfare il suo ego. Libero nella natura dei monti. Se intervengono fattori esterni, come “gara ufficiale”, “sponsor”, “premi” e una competitività esasperata, magari incattivita, allora cambia tutto. E questo è un fatto. In taluni sport questo comporta anche il ricorso massiccio a una “medicina sportiva” sempre più sofisticata e spesso ostaggio della scappatoia del doping per arrivare ai risultati, obbligati a realizzarsi per le logiche dei bilanci in attivo e compagnia bella (mi riferisco in particolare al ciclismo professionista, ma altri sport non ne sono immuni). La signora Moreschi correva per passione, in una gara a premi, e forse non era libera di farlo per suo esclusivo edonismo ma per dare consciamente o inconsciamente credito a una competizione di montagna, con altri come lei che corrono per dare anch'essi credito a queste manifestazioni. Le spinte a farlo potrebbero quindi essere molteplici, ma fra esse anche semplicemente il fatto di attuare un sereno e positivo confronto fra amici o di correre una gara “in libertà”. Una sua scelta da rispettare, comunque, e da ritenere certamente immune dalle storture accennate. Questi ragazzi che corrono le skyrace sono professionisti in questa attività, penso siano ben consapevoli dei pericoli della montagna e conoscano i terreni su cui gareggiano. Fatto ne è che nelle due edizioni del Kima successive all'incidente occorso alla sig. Moreschi sono stati molto critici con gli organizzatori per aver notevolmente accorciato e banalizzato il percorso. Avrebbero voluto percorrerlo per intero, per il piacere di farlo e di confrontarsi fra loro in questo. E ciò fa loro onore. Ognuno ha cioè il libero arbitrio di fare un po' quello che ritiene giusto. Per il problema climatico, di cui Jacopo pone interrogativi, credo sia abbastanza nella consuetudine dei concorrenti di simili gare trovarsi in condizioni problematiche. Saranno sicuramente allenati al freddo e al cattivo tempo. Ma se non fosse per una gara, o per un allenamento a una gara, ma solo per il piacere personale di stare nella natura, andrebbero lo stesso a correre in una situazione climatica problematica? Cosa succederebbe se si arrivasse a mettere cinque cordate alla base della Nord-Est del Badile, dire “pronti, via” e vedere (per soldi e per pubblicità ai materiali) chi arriva prima in cima? Per finire, si legge talvolta sui giornali o in internet che qualche atleta subisce improvvisi decessi per infarto o collassi, a età comprese fra trenta e quarant'anni, se non addirittura “in campo”, e spesso hanno volti stanchi e profondamente segnati da precoce invecchiamento. È anche probabile che molti decessi di questo genere ci vengano taciuti. Il confine che resta da conoscere è quindi fin dove questi ragazzi sono liberi di fare le loro scelte pulite e serene e dove invece arrivano i condizionamenti di mercato e di sviluppo economico “no-limits” a falsarle, forzarle, ed esagerarle. |
5 | Inserito Venerdi 29 Agosto 2008 alle 13:46 da Ros |
Penso che Claudio abbia riassunto in maniera corretta i 2 articoli precedenti, ma soprattutto ha dato un'analisi dettagliata del problema. Per Bruno: Sono d'accordo con te che la montagna è passione, vita e salute, nessuno mette in dubbio questo. Ma è anche vero che quando prendo la macchina, sono conscio del rischi che si corrono per strada, quindi cerco di andare ad una velocità equilibrata ! Il destino si sa' è beffardo, tutto può succedere, però stai tranquillo che se mi dovesse succedere qualcosa, non avrei niente da rimproverarmi. |
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ASSOLUTAMENTE SI'...E MI MERAVIGLIO CHE I CONCORRENTI A CONOSCENZA DELLA VICENDA SIANO ANDATI AVANTI...FOSSI STATO ANCHE PRIMO MI SAREI RITIRATO DI MIA SPONTANEA VOLONTA'