I pizzini di Masescu - Haulbag
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Posted by MASESCU on Friday, September 28, 2007 at 06:39 AM
Cosa si pensa quando si termina una Big Wall?
La retorica dell’alpinismo ce ne ha dette di tutti i colori, tanto da far pensare che, in fondo, la vecchia e banalissima frase: "…..stanchi ma contenti ritornammo a casa" conservi la sua dignità.
Il mio approccio alla vetta non è mai stato molto filosofico.
Sulle Alpi di solito mi dico:
"adesso andiamo fuori dalle palle!"
In Yosemite la prima cosa che penso è che ho finalmente terminato la lotta con l’immondo saccone da recupero.
Fatto di una tela cerata molto resistente e con la forma di una grossa bombola del gas, il saccone è l’escrescenza che ciascuna cordata trascina su per la parete, con tenacia e determinazione sorprendenti.
All’inizio lo si riempie accuratamente di quantità enormi di acqua per superare il deserto verticale; poi si rifornisce la dispensa con del cibo ed infine, nella "zona notte", si sistemano il vestiario e i sacchi a pelo.
Quando con delle ingegnose carrucole si riesce a spuntarlo dal terreno, si sorride pensando:
"Funziona!!!".
Durante il primo giorno, nonostante il peso, gli si accorda perfino della simpatia chiamandolo: "Il bambino".
La perdita di qualsiasi moto affettivo avviene durante il suo passaggio nei camini, dove il bombolone si incastra in maniera orribile, per non parlare dei tiri in traverso, quando i nervi vengono messi a dura prova da complicate manovre di tira e molla.
Infine recuperarne due, necessari sulle vie che richiedono almeno quattro bivacchi, è fisicamente e psicologicamente devastante e può esser un valido motivo per rinunciare alla scalata.
Gli anglosassoni, mantenendo il loro proverbiale "aplomb", lo chiamano con nomignoli femminili che rievocano lontanissime alcove. Noi italiani lo chiamiamo con nomi di fantasia più diretti e prosaici tipo:
maiale, brutto stronzo, sacco di ……, figlio di ……
Eppure, questa frustante zavorra è indispensabile perché, alla fine della giornata, si trasforma nella grotta di Alì Babà, dalla quale esce tutto quello di cui si ha bisogno: acqua, cibo, sacchi a pelo, vestiti, birra.
Se i primi giorni si tenta di tenere un certo ordine nello stoccaggio delle merci, verso la fine della scalata il suo interno si presenta con l’aspetto di una discarica abusiva ed infilarci una mano alla ricerca di qualcosa equivale ad estrarla unta di tonno ed impiastrata con briciole di cracker.
Il posto dove il" bambino" viene, alla fine, riabilitato è il check-in dell’aeroporto: trasportarlo sul carrello "fa figo" e trasmette un immagine da "uomini duri".
Nella foto il saccone sull’ultimo tiro del Nose, il Tender, ovvero il sacchetto rosso è quello dello stoccaggio dell’"Human Waste". Sulla parete si vede l’ombra del fotografo.
Masescu
La cosa inquietante, vedendolo dalla poltrona, è il tender, non il saccone!!