L'intervista -
Simone Pedeferri - Piri 1) Descriviti brevemente per fare capire ai nostri lettori chi sei..
Chi sono? Innanzitutto mi sento ancora un ragazzo alla ricerca non so bene di cosa, spinto da una grande curiosità.
Ho 36 anni gran parte passati in montagna e questo mi ha dato la forza di sviluppare due grandi passioni l’arrampicata e la pittura che vanno di pari passo in periodi alterni. La montagna è stata totalizzante, mi ha fatto cambiare posto di vita trasferendomi in Val Masino a creare qui la mia famiglia.
La Val Masino è dove ho costruito il mio luogo di divertimento e crescita e punto di partenza per il mondo.
Arrampicata al Sasso Remenno
foto: Jacopo Merizzi
2) Come e quando hai iniziato ad arrampicare ? Ho incominciato grazie ai miei genitori; mio papà mi ha sempre portato in montagna con il CAI, dai sentieri alle classiche salite in quota.
Fin da piccolo alla scoperta sopra Erba (mio paese natale) di un posto magico per arrampicare, era la fine degli anni settanta, con mio zio, la fascia attorno ai capelli e le prime scarpette… c’era una meravigliosa aria di rivoluzione…è li che probabilmente è scaturita la scintilla.
Più tardi a 14 anni con quel ricordo negli occhi che ho incominciato a scalare per davvero.
3) La Valdimello... Quando ne hai sentito parlare la prima volta e perche' hai deciso di scalare proprio li?Forse nel ’91 fu la prima volta che entrai in Val di Mello ma non conoscevo nulla della Valle, della sua storia e le sue pareti.
Nei primi anni, venivo solo raramente, ripetevo le classiche e tornavo a casa: in quel periodo, avevo una netta preferenza per il calcare.
Nel 94 nasce il grande amore, grazie anche ad un gruppo d’amici la “Tribù” appassionati già da tempo del posto.
Con loro, ho iniziato la scoperta sistematica delle pareti e della storia di questa Valle che apprendevo attraverso i racconti e con la lettura di alcune pubblicazioni. Tra queste, ricordo con piacere il libro Val di Mello, 9000 metri sopra i prati: sono stati i suoi aneddoti a spingermi a ripetere alcune vie.
Mi ritrovavo in quello che leggevo, riscoprivo la voglia di libertà che avevo visto e sentito da piccolissimo con mio zio, sulla parete sopra Erba.
Ma qua, le dimensioni sono mastodontiche, vicine al sogno Yosemitico, in più è una Valle che ogni pietra è avvolta da leggenda.
4) Come è stato il primo contatto con le sue mitiche pareti?
5) Che rapporto hai avuto con i climber stanziali e le loro salite storiche?La scena era abbastanza feroce, c’erano gruppi diversi, in antitesi gli uni con gli altri, un conflitto da prime donne, come probabilmente cera stato nella precedente generazioni di climber: io mi colloco nella terza generazione.
Questa rivalità a ben pensare, è stata anche un bene perché l’ambiente era molto vivace pieno di progetti verso vie nuove. E le critiche a volte erano costruttive, tutto sommato, buoni stimoli per pensare e crescere. Come le reprimenda di Pizzagalli e Cucchi avevano sempre un fondo di verità che mi facevano migliorare. “Aprono le vie con le corde fisse poi non sono più capaci di ripeterle: ma ti sembra possibile?”
6) Quale era la tua disciplina d’arrampicata preferita (in cosa ti senti più forte?)Non ho discipline d’arrampicata preferite. Vedo l’arrampicata come la pittura, ho a disposizione diversi materiali e una base culturale alpinistica metto tutto assieme e gioco. Salgo una montagna con nut e friends e in cima risolvo un boulder, vado avanti per una cresta e affronto una parete slegato…scalare e scalare, sono tutte sfacettature dello stesso cristallo.
7) Come hai vissuto le successive evoluzioni dell'arrampicata fino all'affermazione di una vera e propria disciplina sportiva?Che merda! - la disciplina sportiva.
Se avessi pensato che l’arrampicata fosse definita sport non avrei mai incominciato a scalare.
Il fascino dell’arrampicata è sempre stato un altro: l’emozione di un tramonto, il condividere con il socio i momenti in parete; la paura, la gioia, l’esplorazione, i bivacchi ecc…
Tanto è vero che mi sono sempre rifiutato di fare le gare.
In apertura sul passaggio piu' duro della Sardegna...
foto: Jacopo Merizzi
8) Arrampicare in Valle e' un esperienza unica, ma affrontare certi itinerari puo' voler dire rischiare le piume... Qual'e' il tuo rapporto con la paura di cadere, di farsi male, di morire ?? Come sei riuscito a "contenere" questo sentimento ?Cito una mia amica arrampicatrice “Se non ci fosse stata la paura di cadere l’arrampicata sarebbe ridotta a un sport qualsiasi”
In Valle ho preso un sacco di spaventi, ma sono quelli che mi fanno crescere a livello alpinistico. Capire i miei limiti, comprendere fino a quale punto posso spingermi sulle placche è lo stimolo che alla fine fa maturare. Il valore delle vie in Valle è proprio questo, poter apprendere e formarti come arrampicatore. Tutti concetti che oggi fanno paura, si preferisce il sicuro, la traccia di spit che però col sicuro fa sviluppare solo tecnicamente ma non come alpinisti.
9) Una aneddoto veloce che ricordi con piacere ?10) Un consiglio per i nuovi alpinisti?
Tanto non ci sono…a parte gli scherzi, sono veramente pochi i ragazzi che vogliono far fatica: forse è stata colpa mia che ho promosso troppo i boulder.
Alle nuove generazioni di alpinisti abbiamo lasciato pareti a tutti gli effetti ancora vive, con vie dove si possono trovare grandi emozioni. Dove è possibile maturare tecnicamente e poi sognare: leggere le avventure degli altri, farsi una propria etica e realizzare sogni.
11) Cosa rimpiangi: cosa non hai visto o fatto?Sono ancora in piena attività
12) Quali sono le vie più belle della valle?Le classiche.
Un aspetto che ho subito colto è che la separazione fatta dai “sassisti” delle singole strutture risulta artificiale. La parete può essere vista interrotta da cenge e piccoli boschi pensili ma è in insieme, un tutt’uno che parte dal fondovalle e finisce solo in vetta.
Per questo mi piace collegare le pareti, l’una sopra l’altra, soddisfa mia sete d’arrampicata.
Partendo da questo punto di vista ecco la mia via perfetta: il Risveglio di kundalini, Bosco delle Fate, Luna Nascente, la cima dello Scoglio delle Metamorfosi, poi Zenivrek alla Mongolfiera, l’incredibile Cima della Mongolfiera, e Magic Line alla parete del Qualido fino a finire sull’obelisco del Martello – la cima perfetta della Val di Mello.
13) Le vie più epiche ed ingaggiose?Tra le classiche Polimagò perché è nata come via moderna.
Le terrificanti placche del Bosca, le ho ripetute e confermo che sono di livello straordinario.
Poi tutte le vie di Fazzini, un insegnamento di come và utilizzato il materiale moderno.
La Vedova Nera di Vitali; in fessura La signora del Tempo, il Tampax e Sette Aprile. Tra i viaggi estremi ricordo “Non sei più della mia banda” aperta dal Pizzagalli al Precipizio degli Asteroidi, è un buon connubio tra moderno e classico che ho ripetuto in libera quest’anno.
14) Come vedi il futuro della Valle?Arrampicatoriamente siamo in periodo di stasi e le pareti per fortuna non vengono rovinate. Speriamo che qualche “furbo” non gli venga in mente di addomesticarle per richiamare “i polli del verticale” come hanno fatto nella vicina svizzera.
Il fulcro momentaneamente si è focalizzato nel boulder e un po nell’area del Sasso Remenno con l’arrampicata sportiva.
La speranza che qualche ragazzo scopra il piacere di guardare in su, più in alto, sulle grandi pareti.
Dal punto di vista ambientale c’è un imbarbarimento mostruoso anche se da poco è nata la Riserva della Val di Mello.
Non vedo nelle persone e negli enti locali, aver capito la bellezza della nostra Valle. Non comprendere che un sasso spostato, una pianta, un prato rovinato o una casa costruita in un posto sbagliato, possono veramente rompere il fragile equilibrio estetico.
L’esempio lampante è le condizioni veramente pessima in cui si trova la piana tra Filorera e S. Martino.
Guardando dall’alto, dalle pareti della Val di Mello si può constatare, come negli ultimi vent’anni, è raddoppiato il numero di edifici, un esempio per tutti, il nucleo di Cascina Piana.
Se da un lato è comprensibile ampliare la propria attività per vivere, dall’altra trovo che sia pura follia se ciò andrà a distruggere la nostra principale ricchezza che è la bellezza del territori: un delicato equilibrio costruito in centinaia d’anni, tra uomo ed ambiente.
Sono convinto che le cose cambieranno in meglio se si capisce che ogni scelta prima di essere presa vada ben ponderata.
15) Nella truppa di giovani che si muovevano in Valle chi erano i più infami? Ma, forse la mia vena di auto ironia non è particolarmente sviluppata, cosa che in fondo mi spiace…
Il grande Cucchi ne aveva sempre una per tutti; comunque salivi la montagna eri certo che per lui non era il modo giusto.
Con Luca Maspes non siamo mai andati d’accordo. Punti di vista diametralmente diversi: nel 96 ci siamo mandati a cagare, probabilmente lui non si ricorderà neanche perché.
Però devo riconoscere che questo contrasto alla fine è risultato piacevole.
Non abbiamo ancora fatto pace.
Un infame o meglio ladro è stato Salvaterra che ci ha fregato un progetto sul Qualido oggi la sua via bellissima, si chiama Sinfonia.
16) E domani cosa faraiVado a scalare!
Mattina una vietta, pomeriggio qualche mono tiro e alla sera prima del tramonto boulder.
Simone e la Pittura
foto: Jacopo Merizzi
Da vocabolario significato di INFAME:
che ha pessima fama, che merita il pubblico disprezzo per essersi macchiato di gravi colpe.
Grazie grande Piri.