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  I Protagonisti della Valle - Jacopo Merizzi

Pubblicato Venerdi 14 Gennaio 2011 alle 02:03 da ARRT


Amaca Cassin, tanica d’acqua, fettucce: quasi il Capitan.
Jacopo sedicenne al secondo bivacco sulla grande parete sul Pesgunfi 1976.
Archivio Jacopo Merizzi
La scheda - Jacopo Merizzi – Pissimo, il provocatore, il Duca

Fastidiosamente intuitivo, con la leggerezza della farfalla scivola da una parete alle braccia di una fanciulla, spregiudicato dal sorriso sornione e gran maestro dei fornelli.
Si dice di lui che è un finto incosciente, che il suo procedere in aderenza è così naturale da sembrare una danza….
E’ stato l’ideatore di 4 edizioni della festa della “Minoranza arrampicatrice” sulla cima del Precipizio degli Asteroidi, epica cena a base di pesce e vino di pregio
Capo branco nella battaglia contro speculazioni d’ogni sorta, è stato il più fervente sostenitore della lotta che ha portato al riconoscimento della Val di Mello come Riserva Naturale .
Per colpa delle sue malversazioni, nel gennaio del 2010 Belzebù, suo antico sodale, per poco non lo trascina anticipatamente con se agli Inferi per condividere con lui le sue peccaminose concubine, facendolo cadere da una banale cascata di ghiaccio.
Portata miracolosamente a casa la pellaccia, benché pesantemente ammaccato, Pissimo non è cambiato per un cazzo, predisposto come sempre alla battuta fulminante ed inappellabile e allo sberleffo.
Unico neo: attualmente si sta dedicando allo sci-alpinismo
Coautore con Paolo Masa della mitica guida “Val di Mello 9000 metri sopra i prati ed. Egeria 1985.
Le sue salite. Le corna non Fan Peso, Amplesso Complesso, Bodenshaff, Via Paolo Fabbri43, il Paradiso può Attendere, Nuova Dimensione, Le Risposte di Bakunin, il Dolce richiamo dell’aldilà, Oracoli d’Ulisse, Polimagò, l’Albero delle Pere, la Serpe Ripresa, Via per l’Inferno, Patabang, Sadomasa, Micetta Bagnata.

L'intervista - Jacopo Merizzi

1) Descriviti brevemente per fare capire ai nostri lettori chi sei..
Fino a quando mi è stato possibile, ho cercato di fare tutto quello che mi riempiva d’entusiasmo: esplorare, arrampicare, fotografare.
Sui massi di Val Masino, sulle pareti della Val di Mello sulle big wall americane, sulle rocce arroventate del Sahara o sulle ghiacciate pareti dell’Antartide, ricerche archeologiche, dalle grotte in Sardegna alle giungle del Messico meridionale, ma anche con un piccolo tuffo negli antichi archivi di famiglia…


Zaino Millet e camicia: Jacopo attende un passaggio per la Val Masino.
Archivio Jacopo Merizzi
2) Come e quando hai iniziato ad arrampicare ?
Le prime cime, all’età di otto anni durante un corso organizzato dalle guide alpine a Chiareggio: Disgrazia, Cassandra, Tramoggia, Val Bona ecc. lunghe camminate sui ghiacciai alpini.
Dal primo anno di liceo, per fuggire agli impegni scolastici, sulle rocce attorno a casa, in Valtellina e nella vicina Val Masino e Val di Mello (prima ascensione Pilastro Goccia sul Badile, Precipizio Degli Asteroidi… ecc.)
Poi in Grigna e nei dintorni di Bergamo dove i miei genitori per esasperazione, mi avevano mandato in esilio cercando di allontanarmi dalla roccia (condivivevo un microscopico appartamento con la mia ragazza Ilaria). La stessa sorte toccò al mio abituale compagno d’avventura Giovanni Pirana detto il Pira, Lui figlio di severi professori, fu rinchiuso in un collegio di massima sicurezza sempre a Bergamo dal quale era quasi impossibile evadere. Quindi, evadeva prima, prima del suo ingresso. La domenica sera stoppavamo il viaggio a Lecco, scendevamo dal treno e al posto di prendere la coincidenza per Bergamo, salivamo a piedi al rifugio sotto il Medale. Il lunedì era dedicato alle grandi salite su calcare; la Gogna, la Milano 68, la Bianchi, la Rizieri, la Boga, la Taveggia mi vengono ancora in mente i mitici nomi di alcune vie.
A Bergamo, nei pomeriggi post-scolastici ci trovavamo per arrampicare sulle antiche mura della città e se c’era un mezzo di trasporto, ci spingevamo sulle rocce della Val Seriana: eravamo arrampicatori a tempo pieno e studenti solo di passaggio.
Ogni occasione era buona per saltare la scuola e andare ad arrampicare. Col medesimo intento, accolsi con entusiasmo l’idea di Paolo e Giampi Masa di partecipare al corso nazionale di Guida Alpina, organizzato ad Alagna sul Monte Rosa, da metà settembre a metà ottobre. Così a diciotto anni, in quinta liceo, mi sono ritrovato professionista di montagna.
Nel mio gruppo di amici climber, ero spesso il più giovane.



Jacopo e Michela agosto del 2009 all’uscita Inschallah sulla vetta della Punta Allievi salita di ripiego per il sovraffollamento della Cassin al Badile.
Archivio Jacopo Merizzi
3) Quale era la tua disciplina d’arrampicata preferita (in cosa ti sentivi più forte?)

Sulle rocce strapiombanti e friabili attorno a Sondrio, si arrampicava prevalentemente in artificiale. S’ideavano tutte le strategie possibili ed immaginabili per inserire chiodi stando in equilibrio sulle staffe.
Anni dopo, questa esperienza mi è servita moltissimo nel lavoro di guida alpina. Un professionista della roccia, deve possedere una buona dimestichezza con corde e chiodi.
Dall’artificiale all’arrampicata in fessura ad incastro, al posto dei chiodi e dei bong, nelle fessure s’infilano le dita, il palmo, il pugno, il gomito. Nelle profonde spaccature e nei camini, bisogna sapersi destreggiare e strisciare come serpenti: non so perché, ma con questa tecnica, mi sono sempre trovato a mio agio.
Di tutt’altro genere è l’arrampicata in aderenza.
Qui fondamentali sono l’equilibrio, l’intuito, la leggerezza, la rapidità d’esecuzione e una grande dose di generosità.
Mollare i freni inibitori e di auto conservazione e credere fermamente nella generosità della roccia.
Le grandi incognite dettate dalle placche compatte della Val di Mello, ruvide e sprotette, erano per eccellenza il mio spazio di danza.
Sono stato bravo, ma mai come Boscacci che tra l’altro abita a due passi da me. In sintesi non potevo neppure vantarmi d’essere stato il miglior aderenzista della mia strada.
Dove invece ho sempre perso pezzi, è nell’arrampicata esposta, di forza, specialmente su calcare e in Dolomiti, li c’è poco da improvvisare e tanto da tenere.

4) Hai o avevi dei miti a cui ti sei ispirato per la tua carriera di scalatore ?
Il grande Bonatti era un mito perfetto, fortissimo e bello: ma dava l’impressione d’essere troppo serio, di fare un alpinismo sofferto. Nei suoi bivacchi tra i ghiacci, pubblicati dalla rivista Epoca, è ripreso con in mano il termometro invece di tenere tra le braccia una giovane ragazza… così lontano dal nostro sentire la montagna.
Qualche anno dopo con le prime pubblicazione sulle riviste inglesi e americane delle salite al Capitan, scoprimmo Yvon Chuinard, Royal Robbins ma anche il simpaticissimo Reinhard Karl; i suoi libri, Tempo per respirare e Yosemite, hanno lasciato il segno.
Un altro grande riferimento anche perché appariva misterioso e bravissimo nel muoversi sulla roccia, era per noi più giovani, Ivan di Milano. Lo si incontrava di rado al Sasso di Remenno o sui massi che costellano la Val di Mello. Arrampicava con uno stile perfetto, armonico, spesso slegato, ed era uno straordinario affabulatore. Lo ascoltavamo a bocca aperta, lo yoga e il karate nella sabbia per indurire il palmo delle mani, la spaccata frontale e sagittale, gli anelli… se andava bene da quel giorno in avanti, la nostra ragazza ci avrebbe guardato con sufficienza, se andava male, andava direttamente da lui. Quante rabbie e disperazioni… e non sono stato l’unica vittima.

5) Hai partecipato alla creazione di un nuovo modo di vivere l'alpinismo da "lotta con l'alpe" a "piacere nel muoversi nella natura", diciamo sei stato un "rivoluzionario". Come hai vissuto le successive evoluzioni dell'arrampicata fino all'affermazione di una vera e propria disciplina sportiva?
Nelle narrazioni alpine, la montagna era severa, fredda, coperta di ghiaccio, e anche nella calura estiva, la bufera stava sempre in agguato.
Per questo motivo era d’uso infilarsi uno scafandro fatto di scarponi, ghette, mutandoni di lana e calzoni alla zuava, maglioni della nonna e pesanti berrettoni di lana infeltrita.
Questo modo di andare in montagna, si trascinò fino a metà degli anni settanta.
Ricordo ancora con orrore che durante la salita con Francesco Boffini, (avevamo appena compiuto 16 anni) della via Taldo-Nusdeo al Picco Luigi Amedeo, avevamo portato le scarpe da ginnastica per arrampicare e chiusi nello zaino contro il possibile congelamento, gli scarponi.
La cima raggiunge a malapena i 2800 metri e pur trattandosi d’epoche lontane, posso assicurare che era passata da un pezzo l’ultima glaciazione di Wurm e nelle fessure cresceva abbondante sia l’erba che i fiori.
Questo modo di andare in montagna scafandrato e pseudo eroico non reggeva più.
Anche perché in montagna alla fine dei fatti, ci divertivamo solo come dei matti. Era un luogo spesso caldo se non afoso, adatto per andarci con le cerbiatte, dove escogitare ai compagni scherzi tremendi, era un terreno magico e avventuroso, era uno spazio in cui fuggire dalle opprimenti città dell’uomo e al di fuori dalle regole urbane.
La “natura selvaggia” aveva finito d’essere terra di conquista ma era lei che ci stava conquistando col raro profumo dell’ignoto.
A metà anni settanta la maggior parte arrampicava ancora con gli scarponi e in dolomiti questa insulsa abitudine durò fino a metà degli anni ottanta; armati di scarpette fu facile rivoluzionare l’alpinismo.
Ogni generazione deve trovare il proprio spazio di gioco; noi l’abbiamo trovato nel dissacrare il vecchio alpinismo e nell’avventurarci sulle nuove pareti “senza cima”.


Dalla roccia viva del Sasso Remenno nasce il Sassista.
Archivio Jacopo Merizzi
6) La Valdimello... Quando ne hai sentito parlare la prima volta e perche' hai deciso di scalare proprio li ?

Non poteva essere che così: dove trovare un campo di gioco più vasto ed inesplorato e vicino?
Probabilmente se non ci fosse stata la Val di Mello mi sarei dedicato alla vela d’altura.
Le prime volte arrivai con l’auto di Miotti e Boscacci, più grandi e già patentati…
La prima via, forse fu l’apertura del Pollice una piccola struttura finita nel dimenticatoio sopra le sponde del Ferro. Ho trovato una vecchia dia in cui ritraggo Boscacci, Pirana e Serena Fait, fermi in sosta a metà di una fessura, probabilmente si tratta della primavera del 1976.

7) Arrampicare in Valle e' un esperienza unica, ma affrontare certi itinerari può voler dire rischiare le piume... Qual è il tuo rapporto con la paura di cadere, di farsi male, di morire? Come sei riuscito a "contenere" questo sentimento?
Il rischio di cadere, di farsi male, è un aspetto inscindibile dell’alpinismo. E’ l’altra faccia dell’arrampicata, quella severa che nessuno vorrebbe mai incontrare ma che dall’altra parte eleva l’attività da mero sport a disciplina di vita.
Arrampicare coinvolge in ugual misura spirito e corpo.

8) Una aneddoto veloce che ricordi con piacere ?
D’improvviso come aggredito da una tarantola, il Popi si dimena, scalcia sulle staffe, scruta verso il basso in cerca di una rapida soluzione che non trova: poi urla: devo assolutamente cagare!
Fa cagare? …Mi chiede Masa per nulla stupito, distratto dalla sua lettura a voce alta del libro di fantapolitica Bodenchaff.
Avete idea di cosa significhi farlo a seicento metri dal suolo, in piedi sulle staffe ancorate a chiodini inseriti per qualche centimetro e che di colpo potrebbero cedere?
Bisogna spostare l’assicurazione dall’imbrago ad una semplice fettuccia legata in vita, e quindi, calare imbrago, pantaloni e mutande giocando sull’equilibrio delle staffe con i piedi che tendono sfuggire e a divaricarsi in improvvise spaccate frontali.
Masa ha lasciato il libro, un evento così precipitoso è raro e poi serpeggia in sosta, anche una vena di preoccupazione: “l’impellente necessità” è sopra le nostre teste.
Dal deretano che si profila tra gli strapiombi contro il cielo, si stacca rapidissima una meteora, ma la roccia è tanto strapiombante che precipita nel vuoto, forse con un sibilo.
Popi si sente svuotato e stanco e chiede essere sostituito ma ne io ne Masa ci rendiamo disponibili: c’è un attimo di sconcerto e smarrimento quindi non rimane altro che scendere.
La prima doppia è terrificante, la corda penzola una decina di metri dalla roccia, solo cinquanta metri più in basso sembra possibile riacciuffare la parete.
Infilo l’otto sulle corde senza usare cordini e prusik di sicurezza; tecniche che reputiamo avvilenti e scendo.
Superato il bordo del tetto, inizio a roteare. Divarico le gambe per avere maggior stabilità ma serve a poco, poi d’improvviso mi trovo stirato verso l’otto, la fronte schiacciata contro il metallo reso bollente dall’attrito: i capelli sono stati risucchiati dal discensore.
Urlo di dolore e dall’alto spuntano curiose le teste dei miei compagni.
Separo i capelli in piccole ciocche che strappo con le dita. Proseguo la calata con un buco nella fitta chioma e odore di pollo bruciato per i capelli rimasti a carbonizzarsi nel discensore, fino a toccare la roccia con la punta della scarpa. Do una piccola spinta e pendolo; afferro una fessura e riorganizzo un posto di sosta.
Mi raggiunge il Popi poi scende Paolo. Ha i capelli lunghi ed è preoccupato. Per evitare il contatto con l’otto, tiene la testa rivolta verso l’alto.
A metà discesa lancia un urlo straziante.
Il maledetto discensore gli ha risucchiato un ciuffo di barba.
Dev’essere un dolore pazzesco, urla e sbiascica parole incomprensibili con la guancia appiccicata al metallo: ma non ha altra soluzione che strappare.
Spelacchiati e svuotati, proseguiamo le doppie senza particolari difficoltà e nel pomeriggio siamo sulla cengia alberata di metà parete.
Prima di scendere dal sentiero della Val Livincina, andiamo in silenzioso pellegrinaggio a vedere il punto d’impatto del siluro sulla cengia del Precipizio.
Sembra impossibile ma si è conficcato per alcuni centimetri nel terreno.
La Bodenshaff, sul Precipizio degli Asteroidi, la finirò due anni dopo col fortissimo Federico Madonna; dal punto massimo raggiunto con un solo passaggio, eravamo al termine delle difficoltà.


L’ultimo passo, della difficile via Okosa di Antonio Boscacci.
Archivio Jacopo Merizzi
9) Un consiglio per i nuovi alpinisti ?
Trovo che arrampicare sia il mezzo più formidabile e rapido per entrare in sintonia con la natura: in un baleno ti senti parte dell’ambiente e diventi roccia, lucertola, vento.
Non conosco altro sport o attività umana che esprime questa formidabile energia.
Un territorio verticale, avventuroso e selvaggio, è un’opportunità fantastica e rappresenta una formidabile esigenza dell’uomo contemporaneo che assume maggior valore se si pensa che le Alpi si trovano al centro dell’Europa in una regione altamente industrializzata e antropizzata.
Un buon consiglio, conserviamo il nostro spazio di gioco: “Facciamo il possibile per lasciare la parete più naturale possibile”.
Imparare a passare senza lasciar traccia è un bel messaggio, per noi e per le future generazioni.

10) Cosa rimpiangi: cosa non hai visto o fatto?
In Val di Mello credo di essermi tolto ogni sfizio, almeno nei limiti delle mie possibilità.
Luna Nascente è un foruncolino che ogni tanto mi duole; l’avevo vista ed intuita, ma quel giorno non avevo tempo e la via mi sembrava molto complessa, probabilmente una salita in artificiale così ho passato l’idea ad Antonio Boscacci. Due giorni dopo, durante la prima ripetizione con Paolo Masa, mi resi conto che era una via perfetta, la più belle della Valle e probabilmente delle Alpi. Nella relazione che Antonio ci aveva tracciato su un tovagliolino di carta, aveva valutato i tiri in fessura di quarto grado e il passaggio all’Occhio del Falco che porta alla fessura terminale, di ottavo non proteggibile.
Potete immaginare quale fosse il nostro stato d’animo arrivati al passaggio chiave. Tirato alla sorte, persi e toccò a me.
Antonio in apertura, era passato direttamente sullo strapiombo che separa le due fessure. Io, molto meno bravo di lui ma forse più navigato nel trovare alternative, intuii la facile soluzione del pendolo: quella che oggi fanno tutti.
Lo sai perché Antonio aveva valutato solo di quarto grado al posto di un sano quinto più e sesto i primi quattro tiri in fessura?
Perché era riuscito a salirli pur reputandosi un pessimo arrampicatore in fessura.


11) Quali sono le vie più belle della valle?
Intendi le vie a quattro stelle? Sono purtroppo poche: Luna Nascente, Polimagò allo Scoglio delle Metamorfosi. Sul Precipizio degli Asteroidi: Oceano Irrazionale, Amplesso Complesso, Self Control.
Di grandissimo effetto è anche avventurarsi sull’incredibile Patabang.

12) Le vie più epiche ed ingaggiose?
Patabang con i suoi tiri in grande esposizione di settanta metri impossibili da proteggere ma anche sorprendentemente facili.
Poi metterei Okosa Vll+ aperta da Boscacci calzando un paio di scarpette da tennis e Micetta Bagnata, forse la via più dura che abbia aperto in placca. Un po’ più addomesticabili vedo Via per l’inferno, la bellissima Vedova Nera di Paolo e Sonia Vitali e Divieto di Sosta di Fazzini, la via di Hassan ed Elena sulla Stella Marina. Concluderei l’elenco con la terrificante Brutamato ye ye e Nada por Nada di J. Jmeno salita con Cucchi la prima e Boscacci la seconda.
Nelle big wall sul Qualido, La spada nella roccia, Il paradiso può attendere, Mellodramma.
Ma non conosco le ultime realizzazioni di Pedeferri e Pizzagalli.

13) Come vedi il futuro della Valle?
Complesso.
Una Riserva fortemente voluta dagli arrampicatori per proteggere una Valle Monumentale, finita per essere gestita pensando alle aree picnic, alla protezione dei fiori, della fauna e della flora alpina.
Per carità meglio che niente, ma la Val di Mello ha il paesaggio che la rende straordinaria ed unica: è un aspetto tuonante, emozionante come si può trovare solo nei Parchi Nazionali americani e poi è la più importante area d’arrampicata su granito delle Alpi.
Non c’entra nulla o poco il confronto con le tante oasi naturali disseminate nella pianura di Lombardia; qui sono necessarie idee e sensibilità nuove.
Poi ci sono i “Melat” che si aspettano dalla Riserva contributi regionali per trasformare i fienili in seconde case… o improbabili agriturismo sostenuti da nessuna attività agricola…
Ci vorrà del tempo, ma non ho dubbi che l’energia che scaturisce dalle rocce della Val di Mello, avrà la meglio.

14) Nella truppa di giovani che si muovevano in Valle chi erano i più infami?
Senz’altro io anche se ero spesso il più giovane.

15) E domani cosa farai?
Mi dedicherò al paracadutismo, pare che abbia dimostrato una tardiva vocazione.



Anno 2000 - solo donne o presunte tali.
Penultima edizione della festa della "Minoranza Arrampicatrice" sulla Cima del Precipizio.
Archivio Jacopo Merizzi


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I COMMENTI DEI LETTORI

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1 Inserito Venerdi 14 Gennaio 2011 alle 08:37 da ARRT
 
So che non dovrei perche' sono della redazione...
Pero' ti conosco da un po' ormai e non posso fare a meno di scrivere quanto tu sia un riferimento per me !!
Grande Jac !
2 Inserito Venerdi 14 Gennaio 2011 alle 20:28 da Guido
 
Fantastico! Grande Jacopone!
3 Inserito Martedi 18 Gennaio 2011 alle 12:00 da Alessandrp
 
Un libro ! Dovete scrivere un libro raccogliendo tutte queste storie che non possono andare smarrite, in nessun modo!!
4 Inserito Mercoledi 6 Luglio 2011 alle 15:49 da Pietro
 
leggerezza, spensieratezza e creatività sono figlie comuni di un ben preciso momento storico indubbiamente legato alla scoperta di nuovi orizzonti di gioco
Dopo, dalla Grigna alla Val di Mello, rimane solo la ripetizione, in cerca di qualcosa che non c'è più


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