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  Kima morire per correre

Pubblicato Mercoledi 24 Agosto 2005 alle 09:46 da JACOPO


La corsa in montagna Kima si è chiusa con la morte della concorrente Marina Moreschi che è scivolata prima del passo del Torrone: il tempo era pessimo, pioggia frammista a neve batteva tutto il percorso.
La corsa sarebbe dovuta essere sospesa?

Ma ha senso una corsa competitiva in montagna?
Una cosa è certa; siamo stati in molti a pensare che la causa principale della scivolata mortale siano state le suole delle calzature.
Sospetto confermato vedendo le foto prima della partenza: Marina calzava le scarpe di una notissima ditta di calzature sportive francesi; scarpe altrettanto note di aderire come pattini sulla roccia soprattutto se bagnata.
Sono più di trent'anni che ci sono in commercio suole che garantiscono ottima aderenza sul bagnato quanto sull'asciutto, com'è possibile che una ditta importante continui invece ad utilizzare del materiale così inadatto e scadente?
Il consumatore si sa è completamente indifeso in particolare se inesperto.
Ma per una sorte di equità, perché non limitiamo la prossima gara Kima ai soli direttori tecnici delle ditte di abbigliamento sportivo.
Che sia per loro anche un buon momento conoscenza della materia e di selezione naturale ?
Secondo il nostro modesto parere, il rischio è un fattore intrinseco con l'andare in montagna e quindi siamo ben lontani dal voler additare responsabilità a chi che sia.
Ma non riteniamo corretto alzare una nube di disinformazione sugli eventi come si sta facendo sulla stampa locale.
Per ragioni di chiarezza e onestà va ricordato che il giorno della gara, tutte le previsioni del tempo davano precipitazioni continue e in intensificazione.
Che già all'alba il tempo era coperto sopra i 2500 metri, piovigginava, e come previsto, dai 2300 cadeva acqua e neve.
La concorrente vittima della caduta, nota per essere una veterana di corse in montagna, calzava delle scarpe Salomon; calzature tristemente note per avere una suola plastificata che fa scivolare come pattini sotto i piedi.
Infine non è stato ne il 118 ne l'elicottero della finanza bloccati dalla nebbia a recuperare la salma ma un elicottero privato.



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1 Inserito Mercoledi 30 Agosto 2006 alle 19:12 da MAURIZIO
 
ASSOLUTAMENTE SI'...E MI MERAVIGLIO CHE I CONCORRENTI A CONOSCENZA DELLA VICENDA SIANO ANDATI AVANTI...FOSSI STATO ANCHE PRIMO MI SAREI RITIRATO DI MIA SPONTANEA VOLONTA'
2 Inserito Giovedi 21 Agosto 2008 alle 13:09 da Ros
 
La montagna va rispettata! Che senso ha correrci sopra;
Non banalizziamo l'accaduto dando colpa alle scarpe, anche un piede in fallo può dare luogo ad una tragedia!!!
Ditemi come si fa' a partecipare ad una competizione che è un memorial di un soccoritore morto in passato, rischiando di andare a rompersi il collo? Ma se questa persona (di cui non ricordo il nome) Kima fosse vivo cosa direbbe? Ahooo ragazzi ma che fate? Mi chi ve lo ha detto di ricordarmi in questa maniera?Gli sponsor, i soldi, oppure il proprio ego irrispettoso dei monti?
R.
3 Inserito Giovedi 28 Agosto 2008 alle 16:48 da bruno
 
sono solo sciocchezze, perchè usate la macchina se sapete che potete fare un incidente a anche morire?
la montagna è passione, è vita, è salute, e chi è capace corra in tutta tranquillità
la morte della sig.ra Moreschi è stata solo una fatalità
4 Inserito Venerdi 29 Agosto 2008 alle 13:00 da Claudio
 

Penso che ci siano parti di ragioni in ognuna delle affermazioni di Ros e di Bruno.
Il fatto che la montagna sia (debba essere) passione è assionomico.
Il fatto che la montagna vada rispettata, altrettanto.
Un incidente dovuto a una fatalità (scivolata, distrazione, cattivo tempo, ecc) è sempre in agguato, perfino in luoghi impensabili (vedi ad esempio il racconto di Jacopo “Incidente in montagna” in “Libera l'immaginazione”).
Forse il problema è la degenerazione delle attività ludiche svolte in montagna in seguito all'avvento di competizioni ufficiali sponsorizzate, sempre più nella cultura del “no-limits”.
L'arrivo del denaro e di un mercato distorto, insomma.
Che chi è capace di correre corra in tutta tranquillità è una bella cosa, ma se è libero di farlo per scelta di passione o di sfida ai propri limiti o persino per soddisfare il suo ego. Libero nella natura dei monti.
Se intervengono fattori esterni, come “gara ufficiale”, “sponsor”, “premi” e una competitività esasperata, magari incattivita, allora cambia tutto. E questo è un fatto.
In taluni sport questo comporta anche il ricorso massiccio a una “medicina sportiva” sempre più sofisticata e spesso ostaggio della scappatoia del doping per arrivare ai risultati, obbligati a realizzarsi per le logiche dei bilanci in attivo e compagnia bella (mi riferisco in particolare al ciclismo professionista, ma altri sport non ne sono immuni).
La signora Moreschi correva per passione, in una gara a premi, e forse non era libera di farlo per suo esclusivo edonismo ma per dare consciamente o inconsciamente credito a una competizione di montagna, con altri come lei che corrono per dare anch'essi credito a queste manifestazioni. Le spinte a farlo potrebbero quindi essere molteplici, ma fra esse anche semplicemente il fatto di attuare un sereno e positivo confronto fra amici o di correre una gara “in libertà”.
Una sua scelta da rispettare, comunque, e da ritenere certamente immune dalle storture accennate.
Questi ragazzi che corrono le skyrace sono professionisti in questa attività, penso siano ben consapevoli dei pericoli della montagna e conoscano i terreni su cui gareggiano. Fatto ne è che nelle due edizioni del Kima successive all'incidente occorso alla sig. Moreschi sono stati molto critici con gli organizzatori per aver notevolmente accorciato e banalizzato il percorso.
Avrebbero voluto percorrerlo per intero, per il piacere di farlo e di confrontarsi fra loro in questo. E ciò fa loro onore.
Ognuno ha cioè il libero arbitrio di fare un po' quello che ritiene giusto.
Per il problema climatico, di cui Jacopo pone interrogativi, credo sia abbastanza nella consuetudine dei concorrenti di simili gare trovarsi in condizioni problematiche.
Saranno sicuramente allenati al freddo e al cattivo tempo.
Ma se non fosse per una gara, o per un allenamento a una gara, ma solo per il piacere personale di stare nella natura, andrebbero lo stesso a correre in una situazione climatica problematica?
Cosa succederebbe se si arrivasse a mettere cinque cordate alla base della Nord-Est del Badile, dire “pronti, via” e vedere (per soldi e per pubblicità ai materiali) chi arriva prima in cima?
Per finire, si legge talvolta sui giornali o in internet che qualche atleta subisce improvvisi decessi per infarto o collassi, a età comprese fra trenta e quarant'anni, se non addirittura “in campo”, e spesso hanno volti stanchi e profondamente segnati da precoce invecchiamento.
È anche probabile che molti decessi di questo genere ci vengano taciuti.
Il confine che resta da conoscere è quindi fin dove questi ragazzi sono liberi di fare le loro scelte pulite e serene e dove invece arrivano i condizionamenti di mercato e di sviluppo economico “no-limits” a falsarle, forzarle, ed esagerarle.
5 Inserito Venerdi 29 Agosto 2008 alle 13:46 da Ros
 
Penso che Claudio abbia riassunto in maniera corretta i 2 articoli precedenti, ma soprattutto ha dato un'analisi dettagliata del problema.

Per Bruno:
Sono d'accordo con te che la montagna è passione, vita e salute, nessuno mette in dubbio questo.
Ma è anche vero che quando prendo la macchina, sono conscio del rischi che si corrono per strada, quindi cerco di andare ad una velocità equilibrata ! Il destino si sa' è beffardo, tutto può succedere, però stai tranquillo che se mi dovesse succedere qualcosa, non avrei niente da rimproverarmi.

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