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  Tre gocce d'acqua - Un racconto di Andrea Gobetti


Vi è mai capitato di cadere, anzi di saltar giù, come si dice quando invece che da una sedia o da un gradino di casa l'accelerazione gravitazionale si sfoga sulla vostra persona a partire dal bordo d'uno strapiombo roccioso?
No? Mai? Allora tenetevi stretti perchè adesso si vola.
Partiti dal rifugio sul lago di Val Viola arrampicavamo sulla sud della Punta Paradisin. Tutto filò liscio finchè non decisi di lasciare la via classica, attirato da un inedita variante e finii per trovarmi attaccato soltanto con le dita più lunghe della mano destra a un naso di roccia dalle narici avare. Maledissi la mia fantasia.
Ricordo che pensai a mio zio, la cui frase più pronunciata era senz'altro: "Al mare col bagnino e in montagna con la guida."
Avevo disubbidito alla sua saggezza; mi sentii come quella volta che avevo preso il treno per Roma anziché per Venezia pur di non chiedere niente a nessuno e accettai il cedere del polso come la normale catastrofe delle premature velleità indipendentiste.
"Volo!" gridai con voce rauca al compagno una ventina di metri sotto di me e una vocina ironica dentro la mente ridacchiò:"Ti piacerebbe volare...e invece caschi, caschi come un gatto di piombo."
Sentii uno strattone poco convinto sull'imbracatura come una mano che fa finta di tenerti e poi ti lascia andare, quindi iniziò un vasto movimento pendolare. Vedevo passarmi accanto granitici archi e spuntoni come i rapidissimi, irreali paesaggi digitali d'un video game.
"Il pozzo e il pendolo" pensai ancora, forse perché , a causa d'un lavoro di traduzioni, avevo la testa piena di letteratura anglosassone e la terribile novella di Poe mi parve senz'altro molto più appropriata alla tragicità degli eventi che non la caduta di Alice nel pozzo col suo coniglio della malora.
Un attimo buio e mi sentii incorporeo, libero d'affanni e assolutamente ottimista, il panorama era pieno di cielo.
"Signore , signore "- gridava una vocina dietro di me-"Signore, mi aiuti, la prego , ho bisogno, tanto bisogno d'aiuto"
Questa richiesta mi distrasse dai casi personali liberandomi dalle rituali domande da inventario sul fatto di essere vivo, in quanti pezzi, eccettera eccetera.
Era una voce femminile e decisamente infantile. Le risposi con il vocione da burbero che s'addice a chi in fondo non chiede altro d'essere benefico con gli altri per dimenticare le sventure proprie.
"Che t'è successo?" domandai alla voce dietro le spalle.
"Sono caduta...."
"Per quello son caduto anch'io"
"Caduta per la terza volta dalla parte sbagliata....
"Anche i panini imburrati cadono sempre dalla parte sbagliata - le dissi per consolarla,- anche mille volte di seguito , sempre dalla parte del burro."
La vocina non rispose, pensai che forse la mia battuta non era poi così divertentente per una che cerca aiuto e mi voltai verso la parete.
Non vidi nessuna creatura di sesso femminile in pericolo; solo una piccolissima pozza d'acqua racchiusa in una scodella di granito. Avevo bevuto spesso da tali punti di ristoro improvvisati che la roccia offre casualmente ai suoi amanti assetati, ma era la prima volta che vedevo una pozzanghera increspata di pianto.
"Non vogliamo scendere nella Pianura Padana signore! Ci siamo già state!-Gridò tutto il coro di gocce d'acqua in pozzanghera-" Vogliamo andare nel Mar Nero!"
Sbarrai gli occhi.
Di fronte a un problema esistenziale di tale portata non potevo preoccuparmi di chi ero , dov'ero e com'ero.
"Lentamente!"-implorai- "Spiegatemi tutto lentamente...."
Chiedere a una accolita di gocce d'acqua di esprimersi lentamente è come domandare a un lombrico di fischiettare o a un pesce di pedalare; devo ammettere che fecero del loro meglio e da un mosaico di strilli, gemiti e squittii ne uscì fuori una lunga, appassionante vicenda.
Dopo secoli e secoli di prigionia le creature d'acqua erano riuscite finalmente ad evaporare dall'Atlantico. Perchè fossero state punite non era ben chiaro,(forse a causa d'una grandinata che aveva devastato un vigneto a cui gli angeli tenevano molto) sta di fatto che s'erano trovate tutte insieme a nevicare sulla Groenlandia, che nel linguaggio delle nubi è detta "luogo da cui non si torna indietro" e serve da prigione per raffreddare le gocce troppo elettrizzate o pasticcione.
Nel gelo e nella monotonia d'un panorama immutabile divennero tra loro molto amiche e riuscirono con storielle e giochi di società a ingannare il tempo, sinché il vento non le portò su un ghiacciaio e quello, tra un gemito e un brontolio senile, le trascinò lentamente sul bordo del mare dove caddero con un grande ed entusiasta strepito.
Ripresero a cantare, a farsi scherzi da un iceberg all'altro. In confronto a quel che avevano passato, l'attesa adesso necessaria per sciogliersi ed evaporare era veramente poca cosa.
E così, fiere e nere, sul fronte d'una grande pertubazione Atlantica videro la striscia delle coste di Biscaglia all'orizzonte e la salutarono con una fulminata generale perchè è nei fiumi e ancor più nei torrenti (o meglio nei torrenti con molte cascate) che le gocce amano cadere più che in ogni altro luogo.
Anche le gocce, infatti, patiscono il mal di mare e soprattutto il sale le appesantisce come agli uomini fa troppo melone mangiato la sera tardi.
Le gocce amano la corrente, i panorami nuovi, le chiacchiere degli animali in idiomi mai sentiti.
Per un po' di tempo piovvero sul bacino della Loira e si deliziarono di castelli, chiuse, canali, storie di pesca e di Giovanna d'Arco. Ma poi si mescolarono con certa gente allegra, che con l'accento delle correnti del Rodano parlò loro delle Alpi.
Ascoltarono incantate le avventure che attendevano chi osava piovere su quelle magnifiche montagne. Seppero delle cascate e degli arcobaleni, argomenti che valgono per le gocce quanto il Bitto per un topo di campagna salito per sbaglio su una petroliera.
La terra promessa aveva però il suo lato negativo, oscuro, inquietante: i terribili Spartiacque, questi brutti ceffi insensibili separavano a loro piacimento le gocce d'acqua senza nessun rispetto delle loro volontà.
Ma "chi non risica non rosica" dissero goccioloni gagliardi compagni di viaggio, forti ma altezzosi perché temprati tanto dai vapori temporaleschi quanto dagli scogli luccicanti.
"E' quello il bello del viaggio- dicevano per darsi importanza- partire e non sapere dove arrivare; ma se non avete le valenze in regola , se vi manca l'ossigeno è meglio che restiate qui a pigolare nell'acquitrinio."
Risentite, le mie amiche gocce avevano allora chiesto dov'era il luogo più pazzesco , più incerto dove poter piovere e quei goccioloni super eroici le avevano detto in un sorriso:
"Le Alpi Centrali naturalmente! Quando sei lassù, tra il Bernina e l'Albula può capitar di tutto. Un colpo di vento e vai nel Reno, un'altro e sei nell'Adda, o addirittura nel Danubio."
Danubio.....era piaciuto quel nome, era rimasto loro nelle testoline e lo ripetevano per gioco, finchè una sera stettero ad ascoltare uno zingaro che suonava il violino sul bordo del canale e capirono che parlava del Danubio e che quel fiume era blu.
Allora presero l'eroica decisione.
Il primo tentativo di raggiugerlo fu un disastro; scambiarono il Passo dello Spluga col Maloia e si ritrovarono dritti a infradiciare la saga dei Nibelunghi, ovvero le sponde del Reno.
Si divertirono a Sciaffusa, ma nella Ruhr le risate finirono sotto i fanali gialli di enormi caseggiati dal rumore infernale, le goccioline furono pompate da mille fabbriche, usate per lavare i minerali più sordidi, raffreddare i meccanismi più inviperiti, si vaporizzarono e condensarono molte volte in luoghi irreali , rumorosi , infinitamente spiacevoli.
Quando si rividero al porto di Rotterdam quasi non si riconoscevano più l'un l'altra. Avevano tutte preso la tosse e qualcuna anche il catarro. Erano comunque felici d'essere in mare e di sentir gabbiani e questo, per delle gocce che avevano sfiorato le ali dell'aquila, è proprio il colmo.
Dopo un mese ripartirono.
A cavallo della tramontana scesero da nord ed eccitandosi alla vista dei ghiacciai eterni vollero strafare, sorvolarono il Bernina ,credendo che tenendosi più ad oriente erano giuste sul Danubio.
Piovvero, così, chi nel lago di Poschiavo chi addirittura in Val Grosina.
Con gioia si rividero a Tirano, ma una mucca le informò gentilmente che il Danubio era dall'altra parte, comunque non dovevano preoccuparsi perchè le aspettava una bella valle , rapide e correnti a non finire e alla fine un lago stupendo, oltre il lago non sapeva, nessuna di loro era mai andata.
Forse se chiedevano alle macchine di passaggio ne avrebbero saputo di più.
Così fecero, ringraziarono la mucca e s'avvicinarono a un camion fermo a cui l'autista cambiava una gomma bucata in riva al fiume.
Fu una gran sorpresa incontrare colà i famosi goccioloni , sbruffoni e tracotanti,tutti imbottigliati, tappati, ed etichettati. Cercavano di darsi delle arie per via delle bollicine e dell'etichetta, ma una gocciolina pronta di lingua disse loro che braccialetti e manette s'assomigliano ma non sono la stessa cosa.
Il camion ripartì per chissà dove e loro scesero l'Adda alla volta dell'Italia.
Alla fine del lago, dopo che un bellissimo Autunno innamorato (e quando mai Autunno non è bello e innamorato?) si veniva a specchiare ogni giorno da loro,vissero però un 'esperienza sconvolgente.
Erano entrati in un paese senza cielo dove le nuvole strisciavano rasoterra. Tra quei vapori riconobbero molti compagni di viaggio e di lavoro, amici con cui avevano fatto secoli prima il monsone insieme e si raccontarono i mille acquazzoni capitati da quando si erano lasciati.

In quella pianura senza cielo i vapori non erano felici, ma con un po' d'astuzia riuscivano prima o poi a filtrare in un canaletto e di lì al grande fiume che sicuramente li avrebbe portati fuori dalle nebbie.
Soltanto un gruppo di vapori sud tirolesi si ostinava a voler risalire la montagna senza passare dal mare. Le loro serate scorrevano così tristemente in canti nostalgici, ritmate dal rumore dei camion di passaggio di cui gli autisti, se avessero sporto le orecchie fuori dai sigillati finestrini avrebbero captato il ritornello nostalgico sino alla disperazione:"Eeee eine kleine gebirg!!! Eeee heine kleine gebirge...."
Mentre lo ripetevo per tenerlo a mente una goccia m'interruppe. Era assieme alle altre ma di natura differente, era salata e mi stava gridando "Pure in tedesco ora deliri? Svegliati deficente!"
Era una lacrima , una lacrima del mio compagno di cordata che , detto per inciso, era la mia ragazza, ed era scesa fin dove io ero caduto per vedere se c'era ancora qualcosa da sperare.
Riconobbi la sua faccia tra la nebbia che si disfaceva.
Ora avevo un gran dolore alla testa che , nonostante il casco, s'era presa una bella botta proprio in mezzo alle corna.
Dopo mezz'ora di sbattimento di palpebre riuscivo ad alzarmi in piedi. Dopo un'ora ero pronto a scendere, prima in corda doppia e poi a piedi , verso la vita.
Prima d'andarmene, estrassi dal sotto casco la piccolissima peretta da clistere che portavo sempre con me per dissettarmi nei micro anfratti della parete.
Raccolsi con quella la pozza d'acqua e la travasai nella borraccia. Luisa mi lasciò fare, nè si oppose quando le dissi che dovevamo passare da Livigno perchè avevo fatto voto..
Soltanto alla dogana disse al finanziere che avevo battuto la testa.
Lui aveva chiesto cosa avevo nella borraccia e io avevo risposto: " Profughi, vogliono andare in Romania"
Il finanziere era giovane, annusò l'acqua e rise che di solito i profughi non vanno a est, ma verso ovest.
Mi fermai sulle sponde del lago di Livigno, ci versai dentro mille gocce di pioggia e una lacrima decise a intraprendere la lunga via che porta al Mar Nero.

 

Andrea Gobetti



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I COMMENTI DEI LETTORI

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1 Inserito Lunedi 11 Dicembre 2006 alle 21:21 da Sara
 
Davvero divertenti i racconti.

Mi piacerebbe leggerne degli altri..!



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