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  La frana di Val Pola


Per ricostruire  i giorni drammatici in cui cadde in Valtellina la gigantesca frana di Valpola andammo ad intervistare Giovanni Peretti - geologo, responsabile dell'Ufficio Valanghe della Regione Lombardia a Bormio. 
Ne è uscita una rara fotografia panoramica che abbraccia quei tragici giorni da differenti angolature. E' strano come nelle fotografie di parole, il tempo si lasci ritrarre come fa lo spazio davanti agli obiettivi, e come quello viene distorto e re-inventato  da differenti focali così l'emozione contrae i giorni dell'attesa  e indugia sull'evento, giocando al contrasto  tra le ore destinate allo sfondo e quelle che rimarranno sempre nei primi piani della memoria.

"Piovve di colpo nel luglio dell'87.
Non piovve sul bagnato, la terra arida non ebbe il tempo di bere e bevendo preparasi a bere, con quei bevitori di vecchia data  che non si sbronzano mai, che dopo damigiane e bottiglioni rimangono in piedi.
 Se la montagna si sbronza d'acqua con calma, la terra instabile "scucchiaia", sparge una cucchiaiata di frana fuori dal piatto, non è un gran guaio.
Ma quella volta piovve a dismisura sulla siccità e dopo tre giorni freddi in cui ad  alta quota nevicava, l'ultimo  giorno della perturbazione la temperatura salì cosicché piovve sulla neve appena caduta sciogliendola d'un colpo. Dall'alto cadevano ondate di piena l'una sull'altra e tutte si sommavano nell'Adda. Le pendici del monte vomitavano letteralmente enormi quantità d'acqua, vari torrenti strariparono facendo danni e trascinando materiale.  Dalla Val Pola scese una frana superficiale che sbarrò non solo la strada che unisce Bormio a Tirano, ma lo stesso corso dell'Adda che  formò un lago sul fondovalle isolando Bormio e allagando le case più base di Morignone.
Ma un mostro ben più terribile era stato messo in moto dalla grande bevuta.
"Per capire la grande frana devi immaginarti che quando i ghiacciai scavarono le valli le sponde di quelle erano sottoposte a enormi pressioni del ghiaccio. Quando i ghiacciai si ritirarono ci fu una distensione del terreno, "per sostegno manco" come dicevano i vecchi autori."
Tali distensioni causano un intensa fratturazione  nella roccia rendendola instabile. Situazioni del genere ce le rivelano certi pianori sui 2000 metri di quota che sono stati formati dal gonfiarsi della montagna in risposta allo sparire del ghiacciaio. Come se in quel punto la montagna si sia "seduta" su se stessa e poi si sia fermata. Queste "paleofrane" stanno tranquille anche per migliaia di anni , ma tanta acqua, precipitò nel pianoro fratturato  sommitale  con tanta violenza  che riempì le fratture per oltre mille metri di dislivello e non trovando via d'uscita provocò nel cuore del pendio una pressione  violentissima verso l'esterno, innescando un processo catastrofico irreversibile. Ma all'esterno il cedimento non era avvertibile."

Per sapere quanto la sbornia è profonda bisogna  concepire  e calcolare  entità invisibili  quel il punto di corrivazione  che è dato dalla velocità con cui l'acqua scende dentro la roccia.... Insomma è un lavoro da dottori.
I dottori della terra sono i geologi, quelle strane persone, spesso con la barba, che amano la vita all'aria aperta e preferiscono lunghe camminane col sacco in spalle carico di rocce ai pomeriggi chiusi in laboratorio in cui si scopre la verità scientifica , la verità invisibile.

La posizione dei geologi nella società è sempre delicata , in tempo di pace sono normalmente considerati, in tutti quei lavori in cui la loro presenza è resa necessaria dalla legge, come l'ultima ruota del carro, ma quando succede una catastrofe sono i primi a salire sul carro che porta alla ghigliottina.
In Italia, non dimentichiamolo mai, la geologia accademica ha dato una pessima prova di se al tempo della famosa catastrofe del Vajont, quando l'Università di Milano, con parere contrario a quello degli  studiosi di Pavia, affermò che il Monte Toc si sarebbe adagiato dolcemente nell'invaso artificiale che ospitava il lago del Vajont.
Fu allora decretato di non evacuare le popolazioni in pericolo per non creare il panico e, all'alba del 9 ottobre 1961 la montagna precipitò nel lago. Si sollevò un ondata che  spazzò Erto e Casso, oltrepassò la diga e s'abbatté sul paese di Longarone uccidendo circa tremila persone colte nel sonno.

Dopo i quattro giorni di pioggia violentissima, tornato il sereno i Bormini fecero buon viso a cattivo gioco. La stagione turistica estiva era andata al diavolo, ma valeva la pena di  salvare   quella invernale ancora più importante. C'era da ripulire per bene  l'unica via di comunicazione con la Lombardia. Con le ruspe si cominciò a far defluire il lago, liberare e ripulire le case allagate di Morignone. Pertanto si lavorava attorno al malaugurato lago con ogni mezzo e gran quantità di mezzi tra cui un migliaio di alpini reclutati dalla protezione civile.
"Non era possibile prevedere la frana a priori, la scala della vita geologica è di milioni di anni, quella umana invece  non dura neanche  un secolo. Sapevamo che quella era una paleofrana, ogni paleofrana può rimettersi in moto, ma diecimila anni prima o dopo sono inezie, sono sbadigli  per la vita della terra. Nessuno è profeta a quel livello."
La Protezione Civile  teneva però gli occhi bene  aperti in tutte le direzioni  usando gli elicotteri e gli altri mezzi messi a disposizione dalla regione per l'emergenza. Così il venerdì una  delle squadre di  rilevatori sguinzagliate su tutta la zona torna da Giovanni annunciandogli che una grossa frattura si è aperta mille metri più in alto del fondovalle sul versante destro poco a valle di Morignone. Il successivo sopralluogo è allarmante, la frattura  si muove, si estende  per 2OO/3OO metri d’altezza per altrettanti di larghezza,delimitando una porzione notevolissima di pendio.
E, particolare molto inquietante per chi ha orecchie per intendere è il silenzio del luogo. Cervi e marmotte sono fuggiti via da tutta l'area.
La montagna comincia a muoversi, frane di piccola, media e grande  importanza cadono dalla zona dove si  apre la lunga  frattura. E' un campanello d'allarme incredibile e non viene trascurato.
Giovanni improvvisa una stazione di rilevamento continuo mandando  una squadra di rilevatori che  si sistema nella frazione di San Bartolomeo, sull'altro lato della valle, in faccia  al pendio pericolante , ma 200 metri più in alto del fiume. Hanno il compito di segnalare la frequenza e l'importanza delle frane che cadono, nonché la posizione da cui si staccano.  Dopo la notte di venerdì hanno a disposizione lampade fotoelettriche che illuminano la montagna di fronte. Da questo diagramma si nota un aumentare orario  del numero delle frane, ne saranno segnalate 600 prima della catastrofe, la maggior parte delle quali dopo il venerdì si stabilizza su valori di piccole con qualche eccezione di media grandezza. La maggior parte di queste si stacca dal centro e dal settore sinistro, segno che la parete sta "puntando" come ancora sostenuta, incernierata a destra.
 "Il sabato mattina sono convinto che la situazione e ormai irreversibile la caduta di una grande frana è soltanto più questione di tempo.
Vado a parlarne col mio amico Carlo che è messo comunale della Val di Sotto. Organizziamo una evacuazione "ufficiosa" immediata. Gli dico che è la Natura che parla e lui mi crede.  Non c'era forse il tempo di far intervenire polizia e carabinieri  e soprattutto ci vuol gente del posto per andare a convincere gli abitanti delle case in pericolo ad andarsene. Io in quel frangente "disponevo" degli elicotteri della zona, con l'aiuto di  vari ragazzi ben conosciuti riusciamo a evacuare le famiglie delle case sottostanti alla frana. Immaginati che quelli che sono morti a San Martino  erano pastori e avevano portato le famiglie al sicuro più in alto, anche loro dormivano lassù , ma due volte al giorno scendevano al paese abbandonato per mungere le vacche.
La frana superò ogni previsione io immaginavo dieci quindici milioni di metri cubi messi in movimento, ne caddero quaranta milioni, il fronte fu di un chilometro "
Ma c'erano anche geologi che non condividevano l'urgenza , che avevano a loro modo acquisito "prove certe" che quelle fratture c'erano sempre state ,che gia ci erano cadute dentro due pecore nel.... e via dicendo. La rapidità degli eventi fu tale che comunque non permise la formazione  d'un partito antiallarmista in contrapposizione alle conclusioni dell'Ufficio Valanghe.
Alla domenica fu possibile acquistare e far venire dalla Svizzera degli osservatori geodetici, per sistemarli sul versante  della  Valle opposto alla frane  puntare l'area e con una tringolazione vedere di quanto si muoveva la montagna.  La domenica e il lunedì passarono in quest'installazione e l'elaborazione dei primi dati, fu importantissimo averli.
La notte tra lunedì e martedì annuncia la catastrofe, i quattro osservatori a San Bartolomeo non riescono più a rilevare le frane, a darne le dimensioni, è un continuo stillicidio di rocce che precipitano, non c'è più differenza tra settori di destra o sinistra, (il foglio che conteneva  i rilevamenti dalle tre di notte in poi non c'è perchè fu  strappato via  dalle mani degli osservatori   dal vento della frana).
 Dappertutto  i sassi sono "sputati" dalla montagna, partono in orizzontale dal pendio come se esplodesse.
"Alle sette e un quarto della mattina  ero nel dormiveglia sulla branda vicina alle radio, in ufficio, e sento il rilevatore che chiama il Comune di Val di Sotto e gli dice: " Ascolta, son preoccupato, che ci stiamo a fare ancora qui? E da un quarto d'ora che non riesco più a segnare niente, perchè è uno sgretolamento continuo , la parete sta esplodendo, sputa sassi dappertutto, sta esplodendo, ho paura la parete non si è mai comportata così..."
"Presi la radio e dissi d'andar via tutti e al Comune, se mi sentivano, di mandar giù i carabinieri e bloccare la strada e evacuare la zona. Erano le 7,18, alle 7,23 la frana cadde."
Credo che se fosse caduta un'ora più tardi con tutta la gente che stava a lavorare là sotto, compresi 500 alpini, sarebbe stato un massacro, mezz'ora dopo ci sarei stato sotto anch'io e poi ti spiego perchè non c'è stato scampo per chi era in fondo valle. Fu la fortuna a volere che ci fossero soltanto 23 morti."

Mi mostra le fotografie del fondovalle il giorno prima della frana. C'è un grosso lago ai piedi delle parete.
"Vedi su quello è caduta la frana a una velocità di circa trecento chilometri all'ora, perchè aveva fatto mille metri di caduta e ha colpito il lago come un pugno e messo in moto l'acqua alla stessa velocità sparandola in direzione di Bormio. La frana invece è risalita sul versante opposto facendo della valle dividendosi in due volute, come la coda d'un gallo forcello.
 I rilevatori la vedevano cadere, da San Bartolomeo  sotto cui c'è la parete verticale che li ha protetti.
A metà valle c'erano le linee di corrente dell'alta tensione, essi  videro  i  tralicci mettersi in orizzontale cento metri prima che arrivasse la massa di roccia, per l'impatto dell'onda di pressione che spianò tutto il bosco .
 E loro guardavano, poi la massa è caduta nel fondo valle inghiottendo Morignone e San Martino, poi cominciarono a veder venir su davanti a loro, nel vuoto,  blocchi enormi che saltavano su in verticale. Poi cominciano a vederli arrivare di sbieco e quindi sparati in orizzontale verso di loro, al punto che alcuni colpirono perforando le pareti delle case. Hanno cominciato a scappare, ma in che direzione andare? Il cielo  in quella si oscurò  e cominciarono a sentire dietro di loro come l'urlo d'un drago, un terremoto che gli piombava alle spalle. Era il braccio  di sinistra della frana che, dopo essere salita per trecento metri sul loro versante, ripiegava sopra di loro.
Si son messi a correre verso la frana perchè il nemico principale era ora quello che sentivano alle loro spalle . Hanno creduto nell'Apocalisse, sembrò loro che anche la montagna di San Bartolomeo  crollasse insieme a quella di fronte. Ma la frana  ha abbracciato San Bartolomeo, gli è girata attorno salvandolo miracolosamente.  Loro oramai attendevano la morte.
Testimoniano d'un "buio accecante", la polvere non lasciava passare luce, imbrattava gli occhi le rocce macinate avevan liberato una violenta puzza di zolfo  che lasciava  credere d'essere all'inferno. Le energie in atto scaldavano l'aria e la terra tremava. Poi si fece un silenzio sovrannaturale finché la terra smise lentamente di tremare. Loro quattro s'erano gettati  al riparo sotto due rocce e lentamente cadde come una pioggia di terra, pulviscolo sempre più fine e il cielo, per effetto del vento cominciò a rischiararsi. Tra di loro il più vecchio fu il primo a riprendersi e a correre sul ciglio, sotto la chiesa di San Bartolomeo da cui prima si vedeva il paese, si affacciò su un panorama completamente sconosciuto.

Quando la frana  è arrivata sul fondo della valle ha trovato il lago e gli ha dato un pugno terribile.
 E' partita un’onda di acqua e terra, alta circa venti metri, divisa in due come colore, la parte  bassa nera,  quella alta più chiara  per terminare in schiuma e areosol. L'onda è partita un po' obliqua rispetto alla valle risalendo tutto il piano sopra il lago. La velocità è scesa poco a poco dai 300 ai 200 all'ora, come prova c'è la testimonianza del padrone dell'azienda che lavorava in fondo valle. Lui dice che nel momento in cui la frana cominciò a cadere, mentre sentì gli operai sulle scavatrici  dire "Guarda! Guarda! Sta cadendo tutto!" immediatamente saltò a bordo della sua Range Rover già girata verso Bormio e accelerò a tutto gas sul rettilineo,  sarà andato  a 14O all'ora e l'estremità dell'onda lo ha raggiunto,  gli ha  appena  toccato il retro della macchina  e l'ha spostato. Se era venti metri indietro era perduto. Immaginati quindi che l'onda, partita più o meno con lui, ha recuperato un chilometro e mezzo sulla sua macchina lanciata al massimo.
Tutto il fondovalle era riempito da quest'onda e ci fu una che la vedeva arrivare da Aquilone e chiamo la moglie "Vieni a vedere che sta arrivando, ma è solo acqua, guarda che entra in paese" Le case erano già mezze sommerse e non si capiva la potenza dell'onda finche non si vide piegarsi di netto il campanile in direzione opposta alla spinta che gli aveva spezzato la base. Allora  hanno capito che l'onda distruggeva il paese e sono scappati in mutande  su per i prati, salvandosi. Ma ad Aquilone morirono altre persone, come la povera Alma con i suoi tre bambini presi nel sonno, oltre ai sette operai sulle scavatrici.
La famiglia di Luigi Bonetti, uno dei nostri rilevatori,  era evacuata da San Antonio Marignone ad Aquilone , in alto. Vedono l'onda, capiscono tutto, esce tutta la famiglia e cominciano a correre verso l'alto. Uno dei fratelli rimane indietro di qualche metro e l'ultimo lembo di fango l'ha ghermito. I parenti tornano immediatamente indietro e  lo trovano incastrato tra una casa e un muretto. Il fango  l'ha sommerso ma, rifluendo, gli ha lasciato la testa fuori.  Scavando con le mani riescono a tirarlo fuori, era salvo ma completamente rosa, come scalpato e smerigliato."

L'onda quindi rifluì e spazzò un’altra volta la valle tornando verso il basso. In quella il rilevatore di San Bartolomeo si affacciò  da sotto il campanile cercando il suo paese.
Vide vorticare sotto di lui un lago di un chilometro di diametro, un enorme mulinello fangoso in cui galleggiavano tronchi, pali della luce, tetti di case.
 Allora ha pensato io sono morto e questo e un girone dell'inferno una punizione, era li inebetito , non gli importava di vivere o di morire, era convinto di star vivendo un girone dell'inferno."

 Giovanni si alza, mi dice che non sa bene perchè mi sta raccontando tutto questo, forse perchè sono passati ormai sette anni e l'episodio, uscito distorto da mille pagine di cronaca, cerca un posto nella storia. Quella frana ha sconvolto la sua vita e non soltanto perchè ha perso amici e parenti, non per le responsabilità sopportate e neanche perchè in un attimo lo ha reso protagonista, lo ha messo in un punto "caldo" nell'enorme meccanica dei soccorsi scatenata dalla catastrofe, con relative responsabilità e mole di lavoro e di tensione inumane.
Forse perchè è utile sapere la verità  del prima durante e dopo quando si tratta di catastrofi, propongo io . Sapere che altri han valutato le cose per difetto o per eccesso e tenerne conto, anche per ripercorrere gli stessi passi, se già una volta han significato la salvezza di migliaia di persone.
La Valtellina è una storia da cui i geologi sono usciti con onore, altro che il Vajont.  Giovanni però è un anti-eroe per natura. Per lui se c'è qualcuno che ha salvato vite umane è stata la fortuna, si  nega medaglie. Forse ha già conosciuti troppi di pluridecorati.
 Ma non è qui per parlarmi di uomini , con un gesto della mano allontana il fastidio di questi pensieri e si fa forza. E' lui il protagonista delle ultime righe del suo racconto.
" Alle 7,18, finito il collegamento radio, andai in bagno per farmi la barba,  quando mancò la corrente capii che la frana era caduta anche se non  pensavo mai più che fosse  stata così grande, dalla finestra vidi il  muro nero di polvere che veniva su dalla valle.... Chiamai tutti i rilevatori e già alle 8 e un quarto in regione avevano un fax che disegnava esattamente i contorni del gigantesco impatto. Ancor prima, immediatamente, abbiamo avvertito sindaci e autorità della Valtellina di stare in campana nel fondo valle perchè allora  non si poteva sapere se il lago non stesse precipitando verso valle. Alle 8,30 salii sull'elicottero per il primo sopralluogo, ero seduto sul pattino , assicurato all'imbrago , la macchina foto in mano. Ero impegnato nelle mie operazioni e di colpo ho alzato gli occhi ed ero appeso sopra il lago e la frana.
Per me è stata una folgorazione, una martellata, un'emergenza spirituale.
Io non ero più lassù e dentro, facevo parte della natura, il mio essere faceva parte del tutto. Ero intriso dentro il fenomeno, il fenomeno era orribile, orripilante, spaventoso, sapevo che la sotto c'era morte e distruzione.( ancora non sapevo che la sotto c'erano carissimi  amici e parenti) Eppure non mi importava più niente, questo  stato d'animo  durò un paio di minuti  e fini quando il pilota mi riscosse dicendo "Che fai?
Non fotografi? Dormi?"
Ero li così con la macchina foto in mano che guardavo questa cosa sotto di me,  ma a un certo punto non la guardavo più perchè ne  facevo parte e per me era una cosa meravigliosa.
Hai presente il poeta che dice " dell'orrenda bellezza"?
Io ero immerso in quella cosa li orripilante , brutta.
Tragedia e catastrofe e per me era una cosa meravigliosa.
Quando lo specialista di volo m'ha chiamato è stato come tornare indietro, come ripiombare nella realtà , e mi ha scioccato perchè a me non interessava più aver a che fare con gli altri, far foto.
Poi la mente ha ripreso il sopravvento, ho cominciato a fotografare, ma proprio nel momento successivo alla visione io mi sentivo in pace col mondo, con l'ambiente.
Starò esagerando ? Forse.
Se tu non capisci, non capisci, certe cose o si capiscono o no.
Per due/tre minuti la vita d'una persona è cambiata, quest'episodio l'ha cambiata.
E chissà quanti  hanno avuto incidentalmente questa visione,  che un buddista, un taoista può raggiungere forse  dopo anni di meditazione.
Una cosa del genere ti può anche succedere  per un'avventura in montagna, una catastrofe, un incidente automobilistico o la frana di Val Pola  eppure queste esperienze  vengono poi gettate nel dimenticatoio per cui  non si sviluppano.
Io so solo questo, che dopo la frana di Val Pola ho saputo di far parte della Natura."

Più in là, nè le parole sue, nè tantomeno le mie, possono portarti, caro lettore.

Andrea Gobetti


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I COMMENTI DEI LETTORI

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1 Inserito Lunedi 21 Gennaio 2008 alle 10:46 da Antonio
 
Racconto straordinario da accapponare la pelle: Andrea, perchè non scrivi di più??
2 Inserito Mercoledi 23 Gennaio 2008 alle 21:44 da Piero
 
Racconto di una forza eccezionale: assolutamente da non perdere!
Gobetti sei un mito
3 Inserito Martedi 5 Febbraio 2008 alle 15:55 da Sara
 
Emozionante.
Vorrei tanto che scrivessi un altro libro.



4 Inserito Venerdi 28 Agosto 2009 alle 12:18 da Claudio
 
Non avevo letto prima d'ora questo racconto-cronaca di quei tragici eventi.
Sono rimasto impressionato per come Andrea è riuscito a proiettarci emozionalmente in quel dramma dandoci allo stesso tempo una normale collocazione nella natura.
È un mirabile pezzo da antologia, con un ritmo e una tensione emotiva incredibili, che merita un posto in primo piano nella letteratura di montagna Valtellinese, e non solo.
È stato pubblicato su qualche volume o giornale all'epoca dei fatti?
Ciao.

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