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  I pizzini di Masescu - Sardegna

Pubblicato Venerdi 14 Settembre 2007 alle 06:47 da MASESCU

I miei legami con la Sardegna risalgono a tantissimo tempo fa, quando nell’isola le forze dell’ordine erano tutte impegnate nella cattura del più famoso bandito sardo: Grazianeddu Mesina.

Frequentavo la quarta o la quinta elementare, quindi eravamo verso la metà degli anni 60 e alla sera vedevo il telegiornale sullo schermo bianco e nero, spesso disturbato da righe orizzontali che salivano dal basso all’alto con il moto simile alle onde.

"La televisiùm la fa i undi".

Allora il tecnico di casa, che era mio fratello Giampi ( in gamba con il meccano), girava un manopolone avanti e indietro finchè l’immagine non si stabilizzava. Poiché le notizie su Grazianeddu, che stava diventando un eroe popolare, erano sempre corredate dalle stesse immagini di repertorio, mi ero convinto che, se i Caramba stavano sempre nello stesso posto, non l’avrebbero mai preso.

La mattina dopo, a scuola, commentavamo i fatti come se avessimo visto Milan-Inter e tranne il figlio del brigadiere dei Carabinieri, facevamo tutti il tifo per Mesina.

A vent’anni sbarcammo sull’isola io, Jacopo e le nostre fidanzate di allora e presto ci aggregammo alla tribù di nudisti della Valle della Luna, a Capo Testa. Devo confessare che, essendo un miscuglio di frikkettoni romani del tipo: "Un sacco bbello!", descritti magnificamente da Carlo Verdone e di tedeschi che spadroneggiavano nelle grotte più lussuose, non è che la loro compagnia mi avesse entusiasmato. Però era uno spasso tirare i sassi dalla scogliera alle barche di lusso e arrampicare totalmente nudi era una vera novità.

La prima scalata la feci aggrappandomi in Dulfer alla mano di una splendida scultura granitica dalle sembianze di un orso, poi alla sera, nelle belle luci calde del tramonto, salivamo slegati i diedri e le fessure della Turri.

Un giorno raggiunsi con il mio salvagente, una sorta di busto di gomma che gonfiandosi nell’acqua mi creava un’orribile gobba sulla schiena, un evidente pilastro che sale dal mare sul quale salimmo la via" Masa Marino".

Jacopo, che aveva scattato delle bellissime foto, decise che da lì in poi ci si doveva trasformare in giornalisti e in seguito iniziammo dei viaggi scaturiti dalla sua vulcanica fantasia.

La tecnica era quella di lusingare il direttore di una qualche rivista sull’eccezionalità dei luoghi che avremmo visitato e di stressarlo al punto di farci redigere una lettera con le credenziali.

Con quella in mano Jacopo era inarrestabile.

Gli unici a non tenerne conto, forse ingannati dal nostro aspetto, erano i finanzieri della dogana di Genova che, prima dell’imbarco, mettevano sistematicamente a soqquadro le nostre auto prendendoci per dei cavalli della droga.

Per il resto non c’era assessore, regionale e comunale, presidente di pro-loco o di cooperativa agricola che resistesse alle istrioniche malversazioni di Jacopo.

La lettera con le credenziali, sventolata come il più potente salvacondotto era il passpartout che apriva porte di alberghi e di cantine e dava accesso a luculliane sagre paesane, con le quali i sardi danno il meglio di loro stessi preparando montagne di prelibatezze.

I nostri maggiori successi furono un articolo di dodici pagine sulla costa di Orosei pubblicato da Airone e l’esplorazione di Su Sterru, una voragine che precipita per quasi 300 metri nel ventre del Supramonte di Baunei, che il diabolico Merizzi si era fatto finanziare allo scopo di recuperare le statuette di bronzo del neolitico, delle quali, lui era sicuro, il fondo della voragine era pesantemente ricoperto.

Non trovammo altro che qualche osso di cane e di pecora precipitata, però la "spedizione archeologica" si sfamava alla sera in un protoristorante sull’altopiano del Golgo, dove ascoltavamo un mangianastri con le ballate di Grazianeddu, l’eroe della mia infanzia.

In veste di inviati intervistammo anche il sindaco di Baunei , sul cui territorio giace il 70% del golfo di Orosei, unico sindaco d’Italia di Democrazia Proletaria, una specie di "prozia " dell’attuale Rifondazione Comunista. Baunei eleggeva anche un deputato socialdemocratico, un partito nel quale il più onesto era Pietro Gambadilegno: misteri della democrazia.

Un anno con due mie carissime clienti, una "sessantina" e l’altra "settantina" (come direbbe Camilleri), progettammo di raggiungere la vetta di Tavolara: l’isola rocciosa a sud di Olbia. Per l’esattezza: io e la "sessantina" avremmo scalato uno spigolo sulla parete nord-ovest, un bel" quartone" con dei passi di quinto. La" settantina" ci avrebbe raggiunto in cima con i generi di conforto, salendo dal sentiero.

Una splendida spedizione dal sapore ottocentesco.

Purtroppo non raggiungemmo mai la cima. L’isola era stata acquistata da dei privati, che avevano deciso di impedirne le escursioni mettendo a guardia del sentiero un Cerbero, nelle vesti di un muscoloso sardo i cui tatuaggi dicevano: "E’ meglio non avere discussioni con me!!" .

Alle nostre promesse di comportarci bene, di non lasciare rifiuti e di non dare pubblicità alla nostra escursione il guardiano, riferendosi ai presunti vandalismi compiuti dai turisti disse:

"Pure la croce hanno distrutto!!"

Nel vano tentativo di accaparrarsi la sua benevolenza, le mie accompagnatrici pigolarono:

"Ma lui è una famosa guida alpina venuta apposta dal continente!"

"Eiaaa: pure io sono assai famoso nel campo dell’abigeato!", il furto di pecore, maiali o asini, che di solito dà inizio a sanguinose faide. Con questa sentenza l’ ineffabile devoto alle croci interruppe la trattativa senza possibilità di appello.

Avendo camminato non più di cinque minuti dal molo, quella fu sicuramente la giornata-guida più corta della mia vita.

 

Masescu



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